Verso una Giustizia predittiva “mite”
di Michele Ancona
Ormai da tempo, non solo in Italia, si è acquisita la consapevolezza che la giustizia non è una risorsa inesauribile e che la tutela delle diverse istanze avanzate può essere garantita anche con modalità differenziate.
Da qui il tentativo di fare ricorso a sistemi alternativi di risoluzione delle controversie o di affidare a formule statistico-matematiche la soluzione delle stesse. L’idea di utilizzare formule algebriche in grado di ripercorrere e riprodurre il pensiero umano nel momento decisionale non è nuova; essa risale al 1666, agli studi del filosofo Leibniz , nella sua opera “Dissertatio de arte combinatoria”, ma ha suscitato recentemente nuovo interesse, grazie ad alcune esperienze maturate, ad esempio negli Stati Uniti d’America, dove il ricorso al metodo COMPAS è utilizzato correntemente nella valutazione delle possibilità di recidiva del condannato, ma è stato utilizzato per la prima volta nel 2013, quale ausilio per l’accertamento della responsabilità penale, in fase quindi cognitiva, ricevendo l’avallo della Corte Suprema del Wisconsin nel 2016.
In Europa, in Francia, dal novembre 2016, il ricorso al sistema “Predictice.com” , pensato per gli avvocati, ipotizza il possibile esito della controversia sulla base dei dati forniti e dell’analisi statistica di casi simili e suggerisce la migliore strategia processuale.
In Italia non mancano gli studi di chi propone interessanti formule matematiche in grado di fornire risposte decisionali, abbastanza vicine a quelle adottabili dall’uomo. Né mancano esperienze concrete di applicativi in grado di fornire risposte predittive in taluni settori. Ad esempio il metodo di calcolo degli assegni di separazione e di divorzio elaborato presso l’Università di Firenze, MoCAM, sin dal 2013, o alcuni sistemi di calcolo del risarcimento del danno, fondati su dati statistici.
Il tema-è inutile nasconderlo-è di quelli che divide: tra coloro che mostrano notevole fiducia nelle scienze diverse da quelle giuridiche, consentendone l’ingresso nella delicata fase della decisione della causa; e coloro che manifestano scetticismo in tale operazione, ritenendo che il compito del giudice sia così complesso e delicato da rivelarsi insostituibile.
Personalmente trovo molto interessanti gli sviluppi che si stanno raggiungendo grazie ai tentativi di riprodurre il processo decisionale facendo ricorso ad altre scienze, anche se comprendo-ed in parte condivido-talune preoccupazioni di quegli studiosi che definirei “scettici”.
Verrebbe da chiedersi come mai gli approcci più avanzati si siano registrati nei paesi nei quali il funzionamento della giustizia, civile e penale, non è così in affanno come in Italia (avremmo forse dovuto farlo noi); mi viene da pensare che sul tema, così spinoso, pesino-non poco-la nostra cultura giuridica ed il peso delle corporazioni (avvocati e magistrati) deputate ad amministrarla.
Alla seconda categoria, quella che ho definito degli “scettici”, vorrei tuttavia ricordare come in Italia già si fa applicazione-ogni giorno-nei tribunali, di sistemi decisionali fondati su parametri prettamente statistici.
Un esempio, piuttosto importante, non fosse altro che per le applicazioni che quotidianamente riceve, è quello dell’utilizzo delle tabelle del tribunale di Milano, per la determinazione del danno non patrimoniale. Tabelle, per l’appunto, fondate sul calcolo della media dei risarcimenti effettuati in una determinata area geografica, con opportuni correttivi. Le tabelle, dopo una evoluzione piuttosto articolata, hanno trovato generale applicazione e sono state riconosciute quale valido strumento di determinazione dalla stessa corte di legittimità, che, anzi, ritiene che il giudice che intenda discostarsene abbia il dovere di motivare adeguatamente tale decisione (da ultimo, vedi Corte di Cassazione sentenza numero 9950 del 20.04.2017).
Se proviamo a chiederci qual è il motivo per il quale si consente al giudice – anzi lo si obbliga a farlo, salvo diversa espressa motivazione- di determinare il danno non patrimoniale in una certa misura, sulla base di standard medi di determinazioni precedenti, in una certa area territoriale, la risposta è una sola: evitare il caos nelle determinazioni dei risarcimenti, evitare le divaricazioni eccessive tra un ufficio e l’altro, ciò che aveva determinato il noto fenomeno del forum shopping (scelta dell’ufficio più conveniente per la parte). A fronte di questa esigenza, si è ritenuto “accettabile” il ricorso alle tabelle, pur essendo innegabile che esse, benché dotate di una certa flessibilità, vincolano il giudice, lo sostituiscono proprio nella fase più delicata, quella della quantificazione del danno risarcibile.
Vediamo allora se il parametro della “accettabilità” della limitazione del potere decisionale del giudice sia suscettibile di espansione, possa essere applicato ad altre ipotesi soprattutto in un momento in cui il lavoro dell’interprete si può avvalere delle nuove tecnologie.
Entriamo così nel vivo della mia relazione.
L’uso delle nuove tecnologie, se da un lato ha portato importanti novità, nuovi vantaggi per gli utenti (si pensi nel processo civile telematico alla velocizzazione delle comunicazioni telematiche, alla possibilità di accedere da studio o da casa al fascicolo telematico, al risparmio di tempo ed energie in tali attività), dall’altro ha portato alla nascita di nuovi problemi. Penso ai problemi relativi ai requisiti formali che devono possedere gli atti processuali ed al rispetto delle norme tecniche che ne regolano la formazione ed il deposito.
Il quesito che mi pongo e vi pongo è il seguente: è possibile chiedere al computer di rifiutare un atto, che non presenti le caratteristiche tecniche richieste dalla legge o dalle norme di rango secondario dalla stessa richiamate? Es. Atto in formato PDF immagine e non PDF/A, busta eccedente le dimensioni richieste, atto contenente collegamenti ad atti modificabili, ecc. ecc.
Il computer può fare il lavoro del giudice?
Credo di sì, purché correttamente impostato. In questo caso io parlerei di predittività meramente tecnica.
Facciamo un piccolo passo in avanti. L’uso delle nuove tecnologie, se da un lato apre scenari straordinari in termini di velocità delle comunicazioni, di capacità nel trattamento dei dati complessi, dall’altro mostra tutti i suoi limiti, con riferimento al possibile cattivo funzionamento dell’hardware o del software che vengono utilizzati a livello centrale o locale.
Il secondo quesito che vi pongo è il seguente: E’ possibile chiedere al computer che, in presenza di taluni presupposti di natura tecnica, sia adottata una certa soluzione con validità processuale?
Il computer può fare il lavoro del giudice?
La risposta positiva è contenuta nel Disegno di legge delega Berruti, approvato dalla Camera dei Deputati il 10 marzo 2016, che all’art. 1, co. 2, lett. h), n. 4, delega il Governo a prevedere «4) un sistema di monitoraggio della funzionalità e delle interruzioni del sistema informatico, con automatica rimessione in termini delle parti processuali per l’ipotesi di impossibilità di rispettare i termini processuali generata da mancata funzionalità del sistema informatico del Ministero della giustizia, che non consenta alla parte di caricare gli atti processuali e i documenti nel sistema informatico medesimo».
La rimessione in termini, val la pena di ricordare, è atto proprio del giudice: art. 153 co. 2 c.p.c.: «La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini»; art. 294 co. 2 c.p.c.: «Il giudice, se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette quando occorre, la prova dell’impedimento, e quindi provvede sulla rimessione in termini delle parti».
Si tratterebbe di utilizzare l’esperienza maturata nell’industria 4.0, l’Internet delle cose (I.O.T.), mettere in collegamento e far lavorare le macchine ed i loro applicativi, al servizio dell’utente: se il Redattore del professionista ha provato a depositare un atto in un momento in cui: la Direzione della Giustizia del Sistemi Informativi Automatizzati (Dgsia) registrava una interruzione servizio su scala nazionale, ovvero il servizio reso dal Gestore in uso al professionista era temporaneamente interrotto nella zona di utilizzo = automatica rimessione in termini.
Possiamo spingerci oltre?
Pensiamo ai casi in cui da pubblici registri informatizzati (vedi sicid, siecic, Sigit, ecc. ) siano desumibili elementi certi di rilievo processuale, ad esempio, la data di pubblicazione di una sentenza, la data di deposito di un ricorso, la data di iscrizione a ruolo, ecc. ecc. In combinazione con l’atto di parte e con il …calendario (periodo feriale e giorni festivi), è possibile ipotizzare delle risposte automatiche, in luogo del responso del giudice (salvo prevedere una forma di reclamo)?
Ad esempio: Sentenza pubblicata il 10 ottobre 2016, termine lungo per impugnare, art. 327 c.p.c., 6 mesi, scadenza 10 aprile 2017; appello proposto in data odierna: inammissibile. Idem termine breve, 30 gg. da notifica, sulla base della data inserita dalla parte.
Ancora. Ultima provocazione. E’ possibile prevedere la immediata eliminazione dal contenzioso delle controversie destinate a pronunce negative di rito, come da giurisprudenza consolidata ?
Ad esempio: nel caso di confusione tra strumenti di impugnazione: causa soggetta al rito del lavoro impugnata con citazione e non con ricorso; la Suprema Corte è consolidata nel ritenere che va bene la citazione, purché l’iscrizione a ruolo sia effettuata dalla parte entro il termine per proporre l’impugnazione: «Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell’art. 434, comma 2, cod. proc. civ., o, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anziché con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di convalida ai sensi dell’art. 156, ultimo comma, c.p.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione.» (Cass. 14401/2015; 12990/2010; 9530/2010; 5150/2004; ecc.).
La citazione anziché il ricorso va bene, se l’iscrizione a ruolo avviene nei termini per proporre l’impugnazione (non serve il rispetto del termine con riferimento alla data della citazione).
Principio consolidato, eppure ampiamente inosservato. Possiamo, in questo caso, ipotizzare una forma automatica di responso?
Riassumendo, la progressione di Quesiti: fin dove ci si può spingere?
1) E’ accettabile affidare alla macchina l’alternativa accettazione/rifiuto di un atto non conforme allo standard tecnico richiesto? Credo di sì.
2) E’ accettabile affidare alla macchina la rimessione in termini della parte per l’interruzione di servizi, rilevati da altri applicativi? Credo di sì.
3) E’ accettabile affidare alla macchina il responso su un atto, sulla base di dati presenti in pubblici registri, dell’atto redatto dalla parte e del calendario? Credo di sì.
4) E’ accettabile affidare alla macchina il responso su un atto, sulla base di dati presenti in pubblici registri, dell’atto redatto dalla parte e del calendario, tenendo conto di orientamenti ormai consolidati della Suprema Corte? Non lo so ….
Con il quesito n. 4 siamo arrivati al punto in cui la predittività perde le sue caratteristiche di natura tecnica e si avvicina al concetto di prevedibilità, sulla base di dati statistici e/o della giurisprudenza consolidata.
È accettabile, nell’attuale contesto socio-giuridico, una limitazione del potere decisionale del giudice in nome ed in ossequio di un valore oggi avvertito dalla comunità giuridica, quale è il principio della stabilità delle decisioni (collegato a quello della prevedibilità delle stesse)?
Il principio della prevedibilità delle decisioni, ha detto la Suprema Corte con riferimento alla interpretazione delle norme processuali, è immanente nel nostro sistema, quale espressione dei principi di uguaglianza e del giusto processo (artt. 3 e 111 Cost.) (vedi Corte di Cassazione, S.U. ord. n. 23675 del 6/11/2014).
La prospettiva, mi rendo conto, è piuttosto articolata e da approfondire, tenendo presente, tuttavia, che la strada è già tracciata. In linea di prima approssimazione, la soluzione potrebbe consistere nell’attribuire al responso predittivo il valore di semplice indicazione da parte della macchina, di mero “suggerimento”, basato sui dati statistici, offerto al giudicante quale stimolo alla riflessione, un po’ com’è stato in origine per l’esperienza del sistema tabellare del risarcimento del danno. Suggerimento liberamente valutabile da parte dell’operatore e non vincolante.
Il giudice sarebbe, poi, sempre libero di discostarsi dal suggerimento statistico, esprimendo il proprio dissenso consapevole e motivato. In questo modo, si attribuirebbe il giusto peso all’analisi statistica dei casi analizzati (sotto questo aspetto vale la pena di ricordare l’enorme quantità di dati scrutinabili grazie all’uso delle nuove tecnologie), lasciando, tuttavia, l’interprete (l’avvocato, prima, ed il giudice, dopo) libero di decidere in maniera autonoma e consapevole.
Credo che l’avvio di una riflessione collettiva su questa forma di giustizia predittiva, che definirei soft, lieve, mite, potrebbe servire a superare gli ostacoli e le contrapposizioni che attualmente dividono i due schieramenti degli entusiasti delle formule statistico-matematiche e degli scettici e potrebbe fornire un contributo concreto a rendere il nostro sistema di amministrazione della giustizia meno farraginoso, meno caotico, meno imprevedibile, più razionale; in due aggettivi: più celere e giusto.
Michele Ancona