Modifica evolutiva per circolazione sentenze

Come realizzare, già oggi, la circolazione delle sentenze tra Corte di Cassazione e Corti di appello.

Michele Ancona

La piena entrata in vigore del Processo civile telematico in – quasi – tutti i settori della giurisdizione civile e la diffusione ormai sufficientemente capillare dell’utilizzo dell’applicativo Consolle, consente, a mio giudizio, di pensare ad alcune modifiche evolutive in grado di realizzare la “circolazione delle decisioni”, nel senso di comunicare ai giudici di primo grado l’esito degli appelli avverso le sentenze impugnate ed ai giudici di appello l’esito dei giudizi di legittimità in caso di ricorso per cassazione.

  1. La comunicazione dell’esito delle impugnazioni al giudice di primo grado.

Per realizzare questo obiettivo, è necessaria una modifica evolutiva di Consolle, che preveda la trasmissione in automatico al giudice di primo grado della sentenza pronunciata in grado di appello, attraverso un avviso sull’applicativo ed in collegamento con la raccolta dei provvedimenti nella sezione giurisprudenza,  implementando le funzioni del SICID.

     2. La comunicazione dell’esito delle pronunce di legittimità al giudice di appello.

In attesa che il PCT trovi applicazione anche presso la Suprema Corte di Cassazione (nel qual caso il procedimento sarebbe quello indicato al punto precedente), allo stato attuale, la finalità di portare a conoscenza delle Corti di Appello le decisioni della Suprema Corte sulle proprie sentenze può essere realizzata, a livello manuale, utilizzando Italgiure.

Poniamo il caso che il presidente della terza sezione civile della Corte di Appello di Bari voglia conoscere l’esito degli eventuali ricorsi in cassazione avverso le sentenze pronunciate dai consiglieri appartenenti alla propria sezione, allo stato attuale egli dovrà seguire i seguenti passaggi:

a) procurarsi in cancelleria od accedendo al Sicid il numero/anno delle sentenze pronunciate dalla sezione di appartenenza, suddivise per Consigliere (es. Consigliere xxx, sentenze depositate, anno 2015: nn. 5, 12, 27, 36, ecc.; Consigliere yyy, anno 2015: nn. 7, 20, 32, ecc.);

b) accedere al sistema Italguire – CED della Suprema Corte di Cassazione, archivio SNCIV, attraverso il canale di ricerca: Estremi e parti – Provvedimento impugnato – Anno 2015 (nell’esempio accennato) – Autorità “CORTE D’APPELLO” – località “BARI” – Numero 5 or 12 or 27 or 36 or 7 or 20 or 32 …… ecc. ecc.;

c) La ricerca avviata fornirà al richiedente le sentenze della Suprema Corte pronunciate sui ricorsi avverso le sentenze della Corte di Appello di Bari, anno e numeri indicati.

Mi pare superfluo rimarcare l’importanza di tale ricerca per il giudice, per il Presidente di sezione, per tutti i consiglieri, per l’intera sezione nell’ottica di garantire la qualità della giurisdizione, la tendenziale prevedibilità delle decisioni, la verifica della stabilità delle pronunce.

In alternativa, il servizio potrebbe essere organizzato, a cadenze stabilite (ad esempio semestrali), per tutta la Corte di Appello. In tal caso, la ricerca è ancora più semplice:   accedere al sistema Italguire – CED della Suprema Corte di Cassazione, archivio SNCIV, attraverso il canale di ricerca: Estremi e parti – Provvedimento impugnato – Anno 2015 (nell’esempio accennato) – Autorità  “CORTE D’APPELLO” – località “BARI”; risultato: tutte le sentenze della Suprema Corte che hanno riguardato le sentenze della Corte di Appello nell’anno indicato, da distribuire, ad esempio, a cura dell’”Ufficio del processo”, tra le sezioni e per farne oggetto di approfondimento nel corso delle riunioni ex art. 47 quater Ord. Giud..

Questa elementare, ripetitiva, meccanica attività di ricerca, potrebbe essere sostituita facendo colloquiare tra loro due applicativi già in uso presso i nostri uffici: è ipotizzabile un sistema automatico di rilevamento della  “tenuta delle decisioni”, attraverso i seguenti passaggi, che, tuttavia, richiedono una implementazione del sistema Sicid ( od una evoluzione di Consolle), in collegamento con il sistema Italgiure – CED della Suprema Corte di Cassazione:

i) Creazione di una casella di posta elettronica intestata alla sezione di Corte di Appello (es.: terzacivilecorteBA@giustizia.it), alla quale siano abilitati ad accedere i consiglieri della sezione;

ii) Invio automatico da parte di Sicid o di Consolle al sistema Italgiure della ricerca delle sentenze che risultano depositate dalle sezioni civili, nell’archivio e secondo il canale di ricerca sopra indicato alla lettera b);

iii) Impostazione della ricerca come “ricerca periodica” (R. frequenti – busta gialla = rendi periodica). In questo modo, in qualunque tempo dovesse essere pubblicata una sentenza della Suprema Corte su una decisione della Corte di Appello, sezione indicata, giungerebbe sulla casella di posta dedicata un messaggio con la sentenza stessa (proprio come accade oggi se impostiamo una ricerca periodica su un qualsiasi argomento, ricevendone comunicazione sulla nostra posta individuale di giustizia.it).

Per i meno esperti, devo precisare che le operazioni sub lett. i) ed iii) sono già realizzabili allo stato attuale e l’implementazione riguarderebbe solo quanto previsto sub lett. ii).

Michele Ancona

Industria 4.0 e sistema giustizia

Industria 4.0 e sistema giustizia

di Michele Ancona

(in Caos, Rivista quadrimestrale per l’innovazione sociale n. 2/2017)

L’amministrazione della giustizia ha tratto grandi vantaggi dell’uso dell’informatica e delle nuove tecnologie per migliorare la propria efficienza e le proprie performances al servizio dei cittadini. Ne sono esempi negli ultimi anni l’introduzione dei sistemi di comunicazione e notifiche telematiche, l’avvio dei processi civile, amministrativo e tributario telematici e, speriamo presto, penale telematico.

Con il termine Industria 4.0 si fa riferimento allo sviluppo dei sistemi di automazione industriale, diretti ad integrare alcune nuove tecnologie produttive, per migliorare le condizioni di lavoro, aumentare la produttività e la qualità produttiva degli impianti.

È possibile ipotizzare ulteriori positivi sviluppi nel mondo dell’amministrazione della giustizia, ispirandosi a ciò che sta accadendo nel mondo dell’industria? A mio avviso la risposta è positiva.

Le nuove tecnologie sulle quali l’industria, attualmente, sta concentrando decisamente le proprie energie sono l’analisi dei big data e l’Internet delle cose.

Big data.

L’analisi di grandi quantità di dati sta fornendo risultati davvero interessanti che l’industria riesce ad utilizzare per gli scopi più disparati. Mentre l’analisi tradizionale sui dati permette di conoscere i dati storici di un certo fenomeno, l’uso di strumenti di analisi evoluti, gli advanced analytics, consente di raccogliere e studiare le informazioni in tempo reale, di analizzare i comportamenti e le tendenze dei consumatori, di predire le loro preferenze. Ciò comporta, per le imprese, un vantaggio enorme perché consente di orientare le scelte aziendali in direzione delle future opzioni del mercato, con conseguente aumento di competitività e di profitti (1).

È possibile trasferire il percorso innovativo che sta interessando l’industria nell’analisi dei big data al mondo della giustizia? Credo di sì, con gli opportuni, necessari adattamenti.

In primo luogo: come individuare una banca dati sufficientemente ampia, nell’ambito della quale studiare le scelte degli utenti, cui applicare i sistemi di analisi sopradescritti?

Ritengo che per la ricchezza dei contenuti offerti e per l’esaustività del materiale custodito, un primo valido contenitore di big data possa essere individuato nell’insieme delle interrogazioni e consultazioni effettuate dagli utenti (magistrati, avvocati, studenti, utenti in genere) attraverso il centro elettronico di documentazione (CED) della Suprema Corte di Cassazione (sistema Italgiure).  Occorre precisare che un’analisi approfondita delle interrogazioni effettuate al CED viene già eseguita da Italgiure, se è vero che, in corso di interrogazione, un sistema esperto fornisce all’utente le possibili opzioni di ricerca, proprio sulla base delle precedenti interrogazioni effettuate dagli utenti precedenti (menu a tendina che si apre in fase di consultazione attraverso il canale: ricerca sintetica, parole, intero testo). A questo punto, occorre chiedersi:  in che modo ed a chi potrebbero interessare i risultati del trattamento dei big data consistenti nella massa di interrogazioni effettuate dagli utenti del CED?

  1. Certamente, i risultati potrebbero interessare alla Scuola Superiore della Magistratura, per meglio organizzare la formazione iniziale e permanente dei magistrati, focalizzata con più precisione sulle materie che registrano maggiori interrogazioni o minore precisione di analisi, in base ai quesiti posti, intercettando così una maggiore bisogno formativo;
  2. ma i risultati potrebbero interessare, allo stesso modo, il Consiglio Superiore della Magistratura, per meglio organizzare la formazione dei magistrati in materia ordinamentale e rendere più puntuale la stessa sua produzione normativa di rango secondario, a seconda della natura delle interrogazioni e del livello di conoscenza desumibile dall’analisi dei quesiti posti;
  3. senza dubbio, l’analisi avanzata di tali big data potrebbe assumere rilievo per il Legislatore, per orientare con maggiore chiarezza l’attività di produzione normativa, sulla base degli elementi di dubbiezza ricavabili dai quesiti formulati dagli utenti del sistema;
  4. ma l’analisi sarebbe rilevante anche per il Ministero della Giustizia, per migliorare l’attività normativa di rango secondario, sulla base dei quesiti posti dagli utenti; e così via dicendo (ordini professionali ed istituzioni varie).

Vi è un aspetto ulteriore, di rilevante contenuto anche economico. L’analisi dei big data in questione potrebbe interessare anche le case editrici, per orientare proficuamente le proprie attività editoriali.

Un esempio può chiarire meglio il concetto. Se i risultati delle elaborazioni dei dati di interrogazione dell’ultimo semestre al CED dovessero fornire il risultato di un accentuato interesse degli utenti su una particolare materia e su determinati quesiti (ad esempio: amministrazione di condominio, poteri dell’amministratore, azioni a tutela di beni appartenenti ai singoli condomini), la Scuola Superiore della Magistratura o le Scuole Forensi potrebbero organizzare corsi di aggiornamento su tale materia (nel caso ipotizzato: condominio negli edifici e limiti dei poteri dell’amministratore), nella quasi certezza di incontrare il gradimento degli utenti. Ancora, una casa editrice, in possesso di tali dati, potrebbe commissionare agli autori un lavoro di approfondimento sulla stessa materia, che ha formato oggetto di più frequente indagine nel periodo considerato. Tutti avrebbero la ragionevole probabilità di incontrare una domanda reale e di offrire un servizio utile agli utenti, nel primo caso dal punto di vista istituzionale, nel secondo caso dal punto di vista professionale, culturale ed anche commerciale.

In sostanza, l’analisi ed il trattamento dei big data consistenti nelle interrogazioni effettuate dagli utilizzatori al CED realizzerebbe un circuito virtuoso, vantaggioso per tutti: un vero valore-prodotto cedibile dall’amministrazione a titolo gratuito in favore delle istituzioni e delle altre pubbliche amministrazioni ovvero a titolo oneroso in favore degli operatori economici. Il successivo sfruttamento a fini istituzionali o commerciali verrebbe incontro ad una domanda di studio, approfondimento e conoscenza degli utenti, rilevata nel settore di competenza con un notevole grado di certezza.

Internet delle cose.

Con tale espressione si fa riferimento alla attività di interconnessione tra più sistemi in uso ad una azienda; i sistemi vengono messi nelle condizioni di interagire, di rendere automatiche alcune operazioni di routine, di velocizzare alcuni processi aziendali, senza l’intervento dell’uomo o con un intervento meramente marginale.

È possibile trasferire questo percorso innovativo al mondo dell’amministrazione della giustizia?

Certamente sì.

È sufficiente pensare, ad esempio, ancora una volta, alla banca dati del CED, alle sue potenzialità ed all’applicativo “consolle del magistrato” o al SICID, in uso presso gli uffici giudiziari per il funzionamento del processo civile telematico.

Il CED, attraverso una apposita stringa di ricerca, consente di effettuare interrogazioni su alcuni quesiti, ad esempio sulla riforma o conferma da parte della Suprema Corte delle sentenze pronunciate da una certa autorità giudiziaria (ad esempio, Corte d’Appello di Bari); all’esito di tale ricerca, l’utente conosce le sentenze di un certo ufficio che sono state confermate o riformate dalla Suprema Corte di Cassazione. L’utente può rendere permanente tale interrogazione e, in questo caso, il sistema invia all’utente un messaggio contenente, genericamente, tutte le sentenze di quel dato ufficio, che verranno confermate o riformate. La ricerca,  tuttavia, manca di precisione, perché può essere effettuata solo per tipologia di ufficio giudiziario (esempio: Corte d’Appello di Bari) e non con riferimento ad una singola sentenza, o ad una singola sezione del giudice di merito. Basterebbe mettere in collegamento il sistema CED e la consolle del magistrato, ovvero il Sicid, che registrano il numero e la data delle sentenze pronunciate da un certo collegio di una certa sezione di un dato ufficio giudiziario, per inviare con procedura automatica l’interrogazione sulla singola sentenza ed ottenere l’avviso di conferma o riforma di ciascuna sentenza per la quale è stato proposto ricorso per cassazione, con comunicazione individuale al presidente della sezione, del collegio e del giudice estensore, realizzando così in maniera automatica la “ circolazione verticale delle decisioni” dal giudice di legittimità al giudice di merito di secondo grado (Corte di Appello). Analoga procedura si potrebbe realizzare all’interno di consolle, per realizzare la circolazione delle decisioni tra primo e secondo grado (Corte di Appello-Tribunale e Tribunale-Giudice di pace).

Analisi predittiva delle decisioni.

Più delicato è il discorso che riguarda l’analisi avanzata in funzione predittiva del contenuto delle decisioni.

La fase della decisione della causa, consistente nella lettura degli atti, nella loro comprensione, nell’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, nella meditazione necessaria ad assumere la determinazione finale, nella stesura del provvedimento, sono tutte attività umane che ben difficilmente possono essere affidate alla macchina.

Tuttavia, tutto il settore di decisioni che investono il corretto utilizzo delle procedure telematiche (ad esempio, tempi e modalità di trasmissione e deposito degli atti, irregolarità formali prescritte dalle specifiche tecniche; nuove ipotesi di irregolarità-nullità-sanabilità), da un lato, si presta ad un auspicabile tentativo di forte predeterminazione delle decisioni, sulla base della giurisprudenza ormai formatasi sul punto (vedi, ad esempio,  Cass.  n. 9772, del 12 maggio 2016); dall’altro, richiede che tale predeterminazione venga sancita, nell’interesse di tutti i professionisti, che oggi possono operare dal proprio studio legale in tutti gli uffici nazionali e che non possono essere costretti a conoscere ed osservare le varie prassi interpretative vigenti nei vari uffici giudiziari, in ossequio dei principi di uguaglianza e di salvaguardia del diritto di difesa e per l’attuazione di un giusto processo (artt. 3, 24 e 111 Cost.).

In questa direzione sembra essersi mosso il Progetto di legge delega Berruti: art. 1, co. 2, lett. h), n. 4, nel prevedere: «4) un sistema di monitoraggio della funzionalità e delle interruzioni del sistema informatico, con automatica rimessione in termini delle parti processuali per l’ipotesi di impossibilità di rispettare i termini processuali generata da mancata funzionalità del sistema informatico del Ministero della giustizia, che non consenta alla parte di caricare gli atti processuali e i documenti nel sistema informatico medesimo». Inutile rimarcare che l’attività di rimessione in termini è attività propria del giudice (artt. 153 co. 2 e 294 co. 2 e 3 c.p.c., come modificati dalla legge 18 giugno 2009, n. 69)  e che viene ipotizzato si affidi alla macchina, in presenza di taluni presupposti ben determinati.

Ancora, il compito della macchina, destinato a sollevare il giudice da azioni ripetitive e routinarie, serventi rispetto al suo compito di giudicare, potrebbe essere valorizzato già oggi, attraverso: a) l’automatica precompilazione dello schema di base della sentenza civile, alla scadenza dei termini previsti dalla legge (art. 190 c.p.c., giorni 60 per il deposito di comparse conclusionali e giorni 20 per il deposito delle memorie di replica); b) l’utilizzo di  un applicativo interattivo che faciliti la redazione degli atti, attraverso il controllo automatico dell’attualità delle citazioni normative e giurisprudenziali, sia per gli avvocati che per i giudici; ciò soprattutto in un periodo in cui le fonti normative di carattere nazionale devono confrontarsi quotidianamente con disposizioni di carattere sovranazionale e la stessa giurisprudenza, persino di legittimità, deve essere armonizzata con le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) e della Corte europea del Diritti dell’Uomo (CEDU).

In tale prospettiva (coniugando la nuova frontiera dell’internet delle cose, destinata a mettere in collegamento e a fare interagire i diversi sistemi in uso all’amministrazione e la funzione latamente predittiva di analisi delle banche dati su casi simili a quelli in trattazione) sarebbe auspicabile lo studio e l’introduzione di sistemi esperti finalizzati a facilitare le attività ripetitive e routinarie del magistrato nella fase decisoria, collegando il redattore alle banche dati per il controllo: della giurisprudenza a carattere distrettuale, dell’attualità e della vigenza dei dati normativi, degli orientamenti più recenti e consolidati della Suprema Corte, della loro sintonia con le pronunce delle corti sovranazionali (2).

I vantaggi per l’attività del giudice sono evidenti, tanto quanto quelli relativi alla prevedibilità delle decisioni, valore fondamentale perché espressione dei principi di uguaglianza dei cittadini e del giusto processo.

Bari, 5 novembre 2017

Michele Ancona

Presidente di sezione civile  Corte di Appello di Bari

 

 

 

 

Verso una Giustizia predittiva “mite”

Verso una Giustizia predittiva “mite”

di Michele Ancona

Ormai da tempo, non solo in Italia, si è acquisita la consapevolezza che la giustizia non è una risorsa inesauribile e che la tutela delle diverse istanze avanzate può essere garantita anche con modalità differenziate.

Da qui il tentativo di fare ricorso a sistemi alternativi di risoluzione delle controversie o di affidare a formule statistico-matematiche la soluzione delle stesse. L’idea di utilizzare formule algebriche in grado di ripercorrere e riprodurre il pensiero umano nel momento decisionale non è nuova; essa risale al 1666, agli studi del filosofo Leibniz , nella sua opera  “Dissertatio de arte combinatoria”, ma ha suscitato recentemente nuovo interesse, grazie ad alcune esperienze maturate, ad esempio negli Stati Uniti d’America, dove il ricorso al metodo COMPAS è utilizzato correntemente nella valutazione delle possibilità di recidiva del condannato, ma è stato utilizzato per la prima volta nel 2013, quale ausilio per l’accertamento della responsabilità penale, in fase quindi cognitiva, ricevendo l’avallo della Corte Suprema del Wisconsin nel 2016.

In Europa, in Francia, dal novembre 2016, il ricorso al sistema “Predictice.com” , pensato per gli avvocati, ipotizza il possibile esito della controversia sulla base dei dati forniti e dell’analisi statistica di casi simili e suggerisce la migliore strategia processuale.

In Italia non mancano gli studi di chi propone interessanti formule matematiche in grado di fornire risposte decisionali, abbastanza vicine a quelle adottabili dall’uomo. Né mancano esperienze concrete di applicativi in grado di fornire risposte predittive in taluni settori. Ad esempio il metodo di calcolo degli assegni di separazione e di divorzio elaborato presso l’Università di Firenze, MoCAM, sin dal 2013, o alcuni sistemi di calcolo del risarcimento del danno, fondati su dati statistici.

Il tema-è inutile nasconderlo-è di quelli che divide: tra coloro che mostrano notevole fiducia nelle scienze diverse da quelle giuridiche, consentendone l’ingresso nella delicata fase della decisione della causa; e coloro che manifestano scetticismo in tale operazione, ritenendo che il compito del giudice sia così complesso e delicato da rivelarsi insostituibile.

Personalmente trovo molto interessanti gli sviluppi che si stanno raggiungendo grazie ai tentativi di riprodurre il processo decisionale facendo ricorso ad altre scienze, anche se comprendo-ed in parte condivido-talune preoccupazioni di quegli studiosi che definirei “scettici”.

Verrebbe da chiedersi come mai gli approcci più avanzati si siano registrati nei paesi nei quali il funzionamento della giustizia, civile e penale, non è così in affanno come in Italia (avremmo forse dovuto farlo noi); mi viene da pensare che sul tema, così spinoso, pesino-non poco-la nostra cultura giuridica ed il peso delle corporazioni (avvocati e magistrati) deputate ad amministrarla.

Alla seconda categoria, quella che ho definito degli “scettici”, vorrei tuttavia ricordare come in Italia già si fa applicazione-ogni giorno-nei tribunali, di sistemi decisionali fondati su parametri prettamente statistici.

Un esempio, piuttosto importante, non fosse altro che per le applicazioni che quotidianamente riceve, è quello dell’utilizzo delle tabelle del tribunale di Milano, per la determinazione del danno non patrimoniale. Tabelle, per l’appunto, fondate sul calcolo della media dei risarcimenti effettuati in una determinata area geografica, con opportuni correttivi. Le tabelle, dopo una evoluzione piuttosto articolata, hanno trovato generale applicazione e sono state riconosciute quale valido strumento di determinazione dalla stessa corte di legittimità, che, anzi, ritiene che il giudice che intenda discostarsene abbia il dovere di motivare adeguatamente tale decisione (da ultimo, vedi Corte di Cassazione sentenza numero 9950 del 20.04.2017).

Se proviamo a chiederci qual è il motivo per il quale si consente al giudice – anzi lo si obbliga a farlo, salvo diversa espressa motivazione- di determinare il danno non patrimoniale in una certa misura, sulla base di standard medi di determinazioni precedenti, in una certa area territoriale, la risposta è una sola: evitare il caos nelle determinazioni dei risarcimenti, evitare le divaricazioni eccessive tra un ufficio e l’altro, ciò che aveva determinato il noto fenomeno del forum shopping (scelta dell’ufficio più conveniente per la parte). A fronte di questa esigenza, si è ritenuto “accettabile” il ricorso alle tabelle, pur essendo innegabile che esse, benché dotate di una certa flessibilità, vincolano il giudice, lo sostituiscono proprio nella fase più delicata, quella della quantificazione del danno risarcibile.

Vediamo allora se il parametro della “accettabilità” della limitazione del potere decisionale del giudice sia suscettibile di espansione, possa essere applicato ad altre ipotesi soprattutto in un momento in cui il lavoro dell’interprete si può avvalere delle nuove tecnologie.

Entriamo così nel vivo della mia relazione.

L’uso delle nuove tecnologie, se da un lato ha portato importanti novità, nuovi vantaggi per gli utenti (si pensi nel processo civile telematico alla velocizzazione delle comunicazioni telematiche, alla possibilità di accedere da studio o da casa al fascicolo telematico, al risparmio di tempo ed energie in tali attività), dall’altro ha portato alla nascita di nuovi problemi. Penso ai problemi relativi ai requisiti formali che devono possedere gli atti processuali ed al rispetto delle norme tecniche che ne regolano la formazione ed il deposito.

Il quesito che mi pongo e vi pongo è il seguente: è possibile chiedere al computer di rifiutare un atto, che non presenti le caratteristiche tecniche richieste dalla legge o dalle norme di rango secondario dalla stessa richiamate? Es. Atto in formato PDF immagine e non PDF/A, busta eccedente le dimensioni richieste, atto contenente collegamenti ad atti modificabili, ecc. ecc.

Il computer può fare il lavoro del giudice?

Credo di sì, purché correttamente impostato. In questo caso io parlerei di predittività meramente tecnica.

Facciamo un piccolo passo in avanti. L’uso delle nuove tecnologie, se da un lato apre scenari straordinari in termini di velocità delle comunicazioni, di capacità nel trattamento dei dati complessi, dall’altro mostra tutti i suoi limiti, con riferimento al possibile cattivo funzionamento dell’hardware o del software che vengono utilizzati a livello centrale o locale.

Il secondo quesito che vi pongo è il seguente: E’ possibile chiedere al computer che, in presenza di taluni presupposti di natura tecnica, sia adottata una certa soluzione con validità processuale?

Il computer può fare il lavoro del giudice?

La risposta positiva è contenuta nel Disegno di legge delega Berruti, approvato dalla Camera dei Deputati il 10 marzo 2016, che all’art. 1, co. 2, lett. h), n. 4, delega il Governo a prevedere «4) un sistema di monitoraggio della funzionalità e delle interruzioni del sistema informatico, con automatica rimessione in termini delle parti processuali per l’ipotesi di impossibilità di rispettare i termini processuali generata da mancata funzionalità del sistema informatico del Ministero della giustizia, che non consenta alla parte di caricare gli atti processuali e i documenti nel sistema informatico medesimo».

La rimessione in termini, val la pena di ricordare, è atto proprio del giudice: art. 153 co. 2 c.p.c.: «La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini»; art. 294 co. 2 c.p.c.: «Il giudice, se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette quando occorre, la prova dell’impedimento, e quindi provvede sulla rimessione in termini delle parti».

Si tratterebbe di utilizzare l’esperienza maturata nell’industria 4.0, l’Internet delle cose (I.O.T.), mettere in collegamento e far lavorare le macchine ed i loro applicativi, al servizio dell’utente: se il Redattore del professionista ha provato a depositare un atto in un momento in cui: la Direzione della Giustizia del Sistemi Informativi Automatizzati (Dgsia) registrava una interruzione servizio su scala nazionale, ovvero il servizio reso dal Gestore in uso al professionista era temporaneamente interrotto nella zona di utilizzo = automatica rimessione in termini.

Possiamo spingerci oltre?

Pensiamo ai casi in cui da pubblici registri informatizzati (vedi sicid, siecic, Sigit, ecc. ) siano desumibili elementi certi di rilievo processuale, ad esempio, la data di pubblicazione di una sentenza, la data di deposito di un ricorso, la data di iscrizione a ruolo, ecc. ecc. In combinazione con l’atto di parte e con il …calendario (periodo feriale e giorni festivi), è possibile ipotizzare delle risposte automatiche, in luogo del responso del giudice (salvo prevedere una forma di reclamo)?

Ad esempio: Sentenza pubblicata il 10 ottobre 2016, termine lungo per impugnare, art. 327 c.p.c., 6 mesi, scadenza 10 aprile 2017; appello proposto in data odierna: inammissibile. Idem termine breve, 30 gg. da notifica, sulla base della data inserita dalla parte.

Ancora. Ultima provocazione. E’ possibile prevedere la immediata eliminazione dal contenzioso delle controversie destinate a pronunce negative di rito, come da giurisprudenza consolidata ?

Ad esempio: nel caso di confusione tra strumenti di impugnazione: causa soggetta al rito del lavoro impugnata con citazione e non con ricorso; la Suprema Corte è consolidata nel ritenere che va bene la citazione, purché l’iscrizione a ruolo sia effettuata dalla parte entro il termine per proporre l’impugnazione: «Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell’art. 434, comma 2, cod. proc. civ., o, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anziché con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di convalida ai sensi dell’art. 156, ultimo comma, c.p.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione.» (Cass. 14401/2015; 12990/2010; 9530/2010; 5150/2004; ecc.).

La citazione anziché il ricorso va bene, se l’iscrizione a ruolo avviene nei termini per proporre l’impugnazione (non serve il rispetto del termine con riferimento alla data della citazione).

Principio consolidato, eppure ampiamente inosservato. Possiamo, in questo caso, ipotizzare una forma automatica di responso?

Riassumendo, la progressione di Quesiti: fin dove ci si può spingere?

1) E’ accettabile affidare alla macchina l’alternativa accettazione/rifiuto di un atto non conforme allo standard tecnico richiesto? Credo di sì.

2) E’ accettabile affidare alla macchina la rimessione in termini della parte per l’interruzione di servizi, rilevati da altri applicativi? Credo di sì.

3) E’ accettabile affidare alla macchina il responso su un atto, sulla base di dati presenti in pubblici registri, dell’atto redatto dalla parte e del calendario? Credo di sì.

4) E’ accettabile affidare alla macchina il responso su un atto, sulla base di dati presenti in pubblici registri, dell’atto redatto dalla parte e del calendario, tenendo conto di orientamenti ormai consolidati della Suprema Corte? Non lo so ….

Con il quesito n. 4 siamo arrivati al punto in cui la predittività perde le sue caratteristiche di natura tecnica e si avvicina al concetto di prevedibilità, sulla base di dati statistici e/o della giurisprudenza consolidata.

È accettabile, nell’attuale contesto socio-giuridico, una limitazione del potere decisionale del giudice in nome ed in ossequio di un valore oggi avvertito dalla comunità giuridica, quale è il principio della stabilità delle decisioni (collegato a quello della prevedibilità delle stesse)?

Il principio della prevedibilità delle decisioni, ha detto la Suprema Corte con riferimento alla interpretazione delle norme processuali, è immanente nel nostro sistema, quale espressione dei principi di uguaglianza e del giusto processo (artt. 3 e 111 Cost.) (vedi Corte di Cassazione, S.U. ord. n. 23675 del 6/11/2014).

La prospettiva, mi rendo conto,  è piuttosto articolata e da approfondire, tenendo presente, tuttavia, che la strada è già tracciata. In linea di prima approssimazione, la soluzione potrebbe consistere nell’attribuire al responso predittivo il valore di semplice indicazione da parte della macchina, di mero “suggerimento”, basato sui dati statistici, offerto al giudicante quale stimolo alla riflessione, un po’ com’è stato in origine per l’esperienza del sistema tabellare del risarcimento del danno. Suggerimento liberamente valutabile da parte dell’operatore e non vincolante.

Il giudice sarebbe, poi, sempre libero di discostarsi dal suggerimento statistico, esprimendo il proprio dissenso consapevole e motivato. In questo modo, si attribuirebbe il giusto peso all’analisi statistica dei casi analizzati (sotto questo aspetto vale la pena di ricordare l’enorme quantità di dati scrutinabili grazie all’uso delle nuove tecnologie), lasciando, tuttavia, l’interprete (l’avvocato, prima, ed il giudice, dopo) libero di decidere in maniera autonoma e consapevole.

Credo che l’avvio di una riflessione collettiva su questa forma di giustizia predittiva, che definirei soft, lieve, mite, potrebbe servire a superare gli ostacoli e le contrapposizioni che attualmente dividono i due schieramenti degli entusiasti delle formule statistico-matematiche e degli scettici e potrebbe fornire un contributo concreto a rendere il nostro sistema di amministrazione della giustizia meno farraginoso, meno caotico, meno imprevedibile, più razionale; in due aggettivi: più celere e giusto.

Michele Ancona